L'Anima secondo Aristotele
Nel canto XVIII del Purgatorio, Virgilio impartisce a Dante una vera e propria lezione di filosofia aristotelica. Parla di metafisica, ma il fine, come sempre nella visione dantesca del mondo, è morale.
Ogne forma sustanzial, che setta
è da matera ed è con lei unita,
specifica vertute ha in sé colletta,
la qual sanza operar non è sentita,
né si dimostra mai che per effetto,
come per verdi fronde in pianta viva.
Secondo Aristotele le cose sono fatte di materia e forma. La materia è la sostanza che compone l'oggetto, il suo substrato fisico e tangibile, mentre la forma corrisponde alla disposizione di tale substrato, alla sua struttura spaziotemporale. L'identità di un oggetto, la sua essenza, è definita dalla forma che possiede, non dalla materia di cui è composto. La ragione è ovvia: due oggetti diversi possono condividere la sostanza, ma differire nella forma; un tavolo e una sedia possono essere entrambi di legno, ma ciò che definisce la loro essenza, di tavolo e di sedia, è la forma in cui sono disposti.
La forma è ciò che "realizza" le cose, a partire dalla materia primordiale che è semplice potenziale inespresso. La "forma sustanzial", nelle parole di Dante, non è scissa (setta) dalla materia, nè può mai esserlo in base alla teoria formulata dal Filosofo, perché nè è una proprietà caratteristica: non ha senso parlare di forma senza materia, e questa non si manifesta se non per effetto, come il germogliare di una pianta (come per verdi fronde in pianta viva).
Gli esseri viventi non fanno eccezione a questa regola. Anche loro sono composti di materia e forma, e la forma in questo caso particolare la chiamiamo Anima. Aristotele distingue tra anima vegetale, animale e razionale, a seconda che la sua funzione sia vegetativa (riproduzione e sviluppo), sensitiva (capacità motorie e percettive) o intellettiva (pensiero, riflessione). Gli esseri umani sono gli unici organismi a possedere tutti e tre i tipi di anima, incluso il raziocinio.
Quello che mi stupisce della teoria aristotelica è l'assoluta modernità nel concepire l'anima, o, volendo usare termini più alla moda ("scientifici"), la coscienza o consapevolezza, quella caratteristica tipicamente umana, e probabilmente condivisa da buona parte del mondo animale, che il filosofo Gilbert Ryle chiamerà "ghost in the machine". La teoria di Aristotele, il maestro di color che sanno per usare un'altra celeberrima espressione dantesca, si pone in netto contrasto con teorie di tipo dualistico, discendenti del pensiero Cartesiano, che hanno dominato la filosofia della mente per generazioni.
Secondo Cartesio, Anima e Materia sono due sostanze fondamentalmente indipendenti e primarie, sullo stesso piano dal punto di vista metafisico, al punto che la realtà può essere intesa, secondo Cartesio (ma questo filone di pensiero può essere fatto risalire a Platone), come unione di due entità separate: una materiale e una mentale. Analogamente, l'essere umano è unione di corpo materiale e anima spirituale, ma nella visione Cartesiana queste due sostanze non si amalgano organicamente, nè una deriva dall'altra, ma sono bensì entità irriducibili che attraverso la loro interazione (mai del tutto chiarita) costituiscono l'essenza della persona.
Tuttavia, mentre è possibile studiare il corpo con gli strumenti della ricerca empirica, l'anima o la mente è relegata ad un piano puramente spirituale, ultraterreno e mistico, che ha poco a che fare con il mondo materiale. Per Aristotele non è così. Per lui le due sostanze sono inscindibili: l'anima è semplicemente la forma del corpo, e dunque è impossibile concepire un corpo senza un'anima, o un'anima senza un corpo. Questa visione del concetto di anima o di mente è molto più facile da conciliare con il sapere scientifico moderno: non si tratta di postulare un'altra sostanza immateriale, che per definizione sfugge ai metodi empirici della scienza, ma di riformulare il concetto di anima in termini strutturalisti.
Secondo le neuroscienze moderne la coscienza, qualunque cosa essa sia, deve avere origine dall'interazione particolare dei miliardi di neuroni che compongono il sistema nervoso, e la nostra unicità di esseri umani deriva dalla configurazione peculiare e irripetibile del nostro cervello, plasmato sia dalla genetica (miliardi di anni di evoluzione naturale) che dalle esperienze sensoriali individuali.
La teoria di Aristotele ha, come evidente corrolario, la mortalità dell'anima. Se questa è solo la forma del corpo, non può sopravvivere alla sua dipartita. Se viene a mancare il substrato, la struttura automaticamente crolla. In un corpo senza vita i processi vegetali, sensitivi e intellettivi che insieme contribuiscono ad animare il soggetto cessano e il corpo diventa un semplice insieme di organi, tessuti, muscoli e ossa, senza forma, inanimato per l'appunto.
Aristotele fa una eccezione però. L'anima vegetativa e quella sensitiva effettivamente non possono sopravvivere alla morte, ma quella intellettiva può. La mente, secondo Aristotele, è sia immateriale che immortale, e può addirittura esistere senza il corpo. Le argomentazioni che adduce a riguardo sono notoriamente criptiche, e hanno dato adito a miriadi di interpretazioni diverse. Questa svolta nel pensiero aristotelico è anche ciò che ha permesso ai filosofi cattolici di appropriarsi delle sue teorie senza doverle stravolgere, in quanto una interpretazione rigorosamente ileomorfista [dal greco antico ὕλη (yle, materia) e μορϕή (morfé, forma)] del suo pensiero sarebbe stata incompatibile con i precetti della fede cristiana.
Come si possono conciliare le due cose, l'anima come forma del corpo, e la sua immortalità (almeno della parte razionale)? Riesco a trovare un solo modo. L'anima vegetativa e quella sensitiva danno forma al substrato materiale ma sono anche dipendenti da esso: il battito del cuore che pompa il sangue attraverso l'organismo, e che costituisce una delle funzioni fondamentali dell'anima vegetativa, necessita di un cuore per funzionare. Allo stesso modo la percezione delle forme e dei colori che costituisce una delle funzioni fondamentali dell'anima sensitiva necessita di un apparato visivo. Non solo la forma non può esistere senza il substrato ma è dipendente da esso.
Per l'anima razionale potrebbe non essere così: la coscienza potrebbe essere indipendente dal substrato da cui emerge. Secondo il computazionalismo, ad esempio, gli stati mentali possono emergere da qualsiasi substrato fisico, a patto che questo sia in grado di compiere calcoli arbitrariamente complessi. Secondo questa teoria dunque la mente e la coscienza emergono dai processi computazionali che avvengono nel cervello, ma non sono dipendenti da essi, in quanto quegli stessi processi potrebbero essere implementati in substrati completamente diversi, magari non biologici. In altre parole, mentre l'anima vegetativa e sensitiva corrispondono alla struttura fisica della materia, l'anima razionale corrisponde alla sua struttura matematica o logica. In questo senso l'anima razionale potrebbe essere immortale, in quanto pura struttura logico-matematica e in quanto tale trasferibile in altri substrati, magari elettronici, garantendone la vita eterna.
In questo modo la razionalità intesa come capacità di ragionamento verrebbe preservata, ma siamo sicuri che lo stesso varrebbe per la coscienza? Si può ridurre questa a semplici calcoli matematici che avvengono nel sistema nervoso? O forse è qualcos'altro? Una proprietà fisica della materia, forse, e dunque non dissimile in sostanza dagli altri due tipi di anima delineati da Aristotele. In questo caso, a essere trasferito nell'etere sarebbe solo l'involucro vuoto delle nostre azioni e dei nostri pensieri, ma senza l'essenza. Senz'anima.
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