La struttura dell'universo

Il mondo è complesso, e per navigarlo l'uomo ha bisogno di schematizzare la sua infinita e caleidoscopica diversità in categorie distinte e ben definite. Questo non è di per sè un male, perché di fatto è l'unico modo che abbiamo di comprenderlo, il mondo, in quanto creature alla fin fine limitate, che non possono sperare di comprendere la Natura (almeno a livello intuitivo) per quello che è, ovvero una serie di accidenti, eventi che accadono senza che ci sia un motivo ben preciso, ma semplicemente per necessità logico-matematica.  

Si badi bene che ciò non significa che il mondo è caotico e non ha alcuna legge riconoscibile. Al contrario, l'universo è governato da leggi ferree, che sono per l'appunto di tipo logico-matematico, ossia infrangibili. Il mondo ha dunque una struttura ben precisa e riconoscibile, ma è questa una struttura fondamentale di tipo matematico: le leggi della Natura governano entità fisiche fondamentali (campi e particelle) ma non hanno assolutamente nulla da dire su entità composite (come gli esseri umani) se non quanto deriva dalla loro applicazione progressiva a scale via via più grandi.

Mi rendo conto che faccio fatica a capirmi io stesso. Cosa voglio dire? Voglio dire che il mondo ha una struttura, questo è certo, ma è una struttura di basso livello (nel senso di gerarchia esplicativa) e impersonale. Non c'è un disegno nell'arazzo del mondo, non c'è un fine a cui le leggi della Natura tendono. Non solo, ma queste leggi controllano esclusivamente il comportamento delle entità fondamentali (microscopiche) dell'universo: non esistono, per quanto ne sappiamo oggi, leggi fisiche che abbiano dominio su scale macroscopiche e che non siano a loro volta derivabili da leggi microscopiche.

In altre parole, l'universo si accontenta di dirci cosa succede agli elettroni e ai protoni, e tutto ciò che ne consegue, per quanto complesso e meraviglioso (o terrificante), dalla coscienza ai buchi neri, è una semplice applicazione di queste leggi ad aggregati di particelle via via più grandi e complessi. Vedete come in un universo siffatto, che opera a livelli bassissimi, non ci sia alcun posto per categorie epistemologiche tipicamente umane, che operano invece su scale di senso molto più alte. 

Aristotele pensava che tutto, incluso l'universo, avesse un fine, uno scopo. Più tardi i teologi hanno pensato che quello scopo attenesse alla divinità. La conoscenza che abbiamo oggi dell'universo rende queste ipotesi obsolete e le domande filosofiche più alte, "Perché esiste l'universo?", tecnicamente incoerenti. 

La scienza odierna non contempla leggi di tipo teleologico. L'universo esiste, e le cose accadono senza un motivo; o meglio, per motivi di necessità matematica, e non per motivi che noi da esseri umani siamo in grado di riconoscere e comprendere. La risposta tradizionale della religione occidentale, "L'universo esiste perché qualcuno l'ha creato, a nostro beneficio, perché ci ama", non tiene più, ormai da secoli (Dio è morto, diceva Nietzsche). L'universo non è più a misura d'uomo: è qualcosa di alieno, indifferente, inumano. 

Magari mi sbaglio, e lo spero. Magari la scienza a un certo punto scoprirà il fine implicito nelle leggi della Natura, che ora ci sfugge. Come Platone nella caverna, alzeremo gli occhi dalle ombre e li fisseremo alla luce che le produce. È possibile infatti che le leggi fisiche come oggi le conosciamo non siano altro che manifestazioni individuali e opache di un principio unificatore di tipo teleologico. In altre parole, le leggi dell'universo potrebbero essere una semplice conseguenza logica di uno "scopo" intrinseco all'universo, magari enunciabile in poche parole. 

Se anche fosse, lo scopo dell'universo non ci riguarderà, ne sono sicuro, ma esisterebbe, e questo è già qualcosa.

 

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